C’è un particolare che distingue, prima di ogni altra cosa, la scrittura a mano dalla scrittura a macchina: il carattere, anche detto font. Nella scrittura a mano libera, ognuno ha un proprio stile, e i diversi stili di scrittura sono difficilmente inquadrabili in schemi comuni; la scrittura a macchina, invece, segue sempre uno schema ben preciso, e tutto ciò che viene scritto a computer, sia esso in un programma di videoscrittura (Word) o sotto una foto su Facebook, ha un font.
Da dove nascono i font?
Molti dei font che utilizziamo ogni giorno non sono altro che la trasposizione virtuale dei caratteri che venivano utilizzati nelle vecchie macchine da stampa a caratteri mobili. Nonostante molti dei caratteri oggi presenti nei pc siano stati progettati a computer, la maggior parte dei caratteri preinstallati nei sistemi operativi derivano da un loro uso “fisico”: Bodoni, Helvetica, Grotesque, Monotype e molti altri.
Le prime apparizioni di alcuni dei caratteri convenzionali risalgono al 1469, circa 30 anni dopo l’introduzione da parte di Gutenberg della macchina da stampa a caratteri mobili, e compaiono in Italia, Francia e Inghilterra.
Un esempio di carattere tipografico
Con il passare del tempo, la varietà presente per ciascun carattere (ossia le varianti grassettate, corsivate ecc) ha fatto sì che nascessero vere e proprie famiglie di caratteri, che altro non sono che raccolte di stili tra loro collegati. Il termine “font” è un termine inglese che a sua volta deriva da un termine francese medievale, “fonte”, che letteralmente significa “qualcosa che è stato fuso“: il riferimento è alla stampa a caratteri mobili, in cui gli stessi caratteri venivano ottenuti versando del metallo fuso in apposite forme contenenti la matrice del singolo carattere.
In questa interessante infografica, è spiegata la storia dei font dall’anno 100 ai giorni nostri.
Quanti font esistono?
Tanti, tantissimi. Il sito Dafont, una delle maggiori piattaforme per il download di font gratuiti (per uso personale e non commerciale), ne ha più di 30.000, di qualsiasi forma e stile.
Molti dei font che si vedono utilizzati in loghi e comunicazioni aziendali sono marchi registrati, e dunque non sono utilizzabili gratuitamente. L’argomento, comunque, è parecchio spinoso: stante che la legislazione non permette la registrazione di lettere dell’alfabeto, è dibattuta la modalità di esclusiva che questi loghi spesso hanno, cosicché una minima modifica dello stile permette a chiunque di poter utilizzare il font liberamente.
Uno dei casi più famosi riguarda il font “Arial“, creato da Microsoft: la somiglianza con “Helvetica” è evidente, ma è stato reputato conforme al regolamento dal momento che possiede un numero sufficiente di micro-differenze tali da renderlo distinguibile.
Cosa distingue un font dall’altro?
Tutti i font esistenti possono essere categorizzati in 4 famiglie:
- maiuscoli
- con grazie
- senza grazie
- decorativi
I primi font ad essere stati creati sono i cosiddetti font “gotici”: venivano usati per la stampa a caratteri mobili, ed erano tipici dell’epoca di Gutenberg; per la stesura della sua Bibbia, Gutenberg stesso incise un carattere chiamato “Textura”.
Se la comprensione di “carattere maiuscolo” e “carattere decorativo” può essere immediata, cosa si intende per carattere “con grazie” e “senza grazie” (anche detti font “serif” e “sans serif”)?
“Serif” fa riferimento alla presenza o meno, nel carattere, dei bastoncini decorativi delle lettere, anche detti “grazie”. I caratteri “serif”, secondo convenzione, vengono usati per testi lunghi, perché sono ritenuti più adatti per accompagnare l’occhio attraverso le parole stampate o scritte a schermo.
Qualsiasi font va bene per qualsiasi testo?
In realtà no, e non stiamo parlando di un fattore estetico (qualcuno ha detto “Comic Sans”?). Più semplicemente, può capitare che uno specifico glifo (tendenzialmente capita con i simboli, talvolta anche con le lettere accentate o qualche lettera straniera) non sia contenuto in un font, ossia non esiste quel particolare stile per quel singolo elemento. I simboli sono i casi che più ci coinvolgono, ma più in generale difficilmente (o meglio, quasi mai) un font raggruppa tutti i caratteri di tutte le lingue del mondo: basti pensare alla specificità di lingue come il cinese o l’arabo, rispetto al nostro alfabeto occidentale.
Come spesso accade, una soluzione c’è, ed è fornita da Google. La soluzione, nello specifico, si chiama Google Noto.
Google Noto (abbreviazione di “No more Tofu“, con riferimento ai rettangoli che compaiono nei casi in cui sia visualizzato un font sconosciuto – rettangoli che ricordano pezzettini di Tofu) è un font sviluppato a più mani, che in sostanza raggruppa tutti (o quasi) i glifi del mondo, di qualsiasi lingua, sia essa alfabetica o formata da ideogrammi.
Noto comprende ben 800 lingue, compresa la lineare B fenicia.
Font, volpi e cani dormiglioni
Nel concepire la grafica di un contenuto, la scelta del font è un momento piuttosto delicato, e spesso c’è la volontà di capire come ogni lettera viene resa in quel determinato stile. Scrivere tutte le lettere dalla A alla Z in ordine, tuttavia, può risultare fuorviante: sarebbe molto meglio averle di fronte in una frase di senso compiuto, per valutare l’estetica di ogni lettera in una frase.
In questo caso, lo stratagemma che si utilizza è l’uso di un pangramma. Un pangramma in una data lingua è, per definizione, la più breve frase di senso compiuto a contenere tutte le lettere dell’alfabeto. In questo modo, è possibile valutare senza troppe dispersioni (la frase è breve) ogni singola lettera di un font, senza che sia messa in mero e freddo ordine alfabetico.
Il pangramma più conosciuto è in inglese, ed è “The quick brown fox jumps over the lazy dog”, letteralmente “la rapida volpe marrone salta sopra il cane pigro”. Anche in italiano esistono alcuni pangrammi: uno dei più famosi è “Pranzo d’acqua fa volti sghembi”.
P.S.: questo articolo, come tutti quelli di questo blog, sono scritti in carattere “Open sans“.